L’immagine della donna e il codice deontologico ADCI-Intervista ai redattori
L’ADCI è un’associazione di creativi della comunicazione in cui i soci sono solo professionisti che hanno almeno 3 anni di esperienza e un minimo di tre lavori pubblicati sugli Annual dell’ADCI e di altri Art Director Club.
Il Presidente Massimo Guastini e Anna Maria Testa presentano oggi il loro Manifesto Deontologico al convegno “Il consumo dell’immagine della donna” organizzato da Consumers Forum a partire dalle 10,00 presso la Federazione Nazionale della Stampa di Roma.
Intervista a Guastini e a Testa
Di seguito il testo, scaricabile in pdf dal blog bocciofilabrancaleone (blog non ufficiale del nuovo consiglio ADCI):
“Noi soci ADCI siamo consapevoli del fatto che la comunicazione commerciale
diffonde modi di essere, linguaggi, metafore, gerarchie
di valori che entrano a far parte dell’immaginario collettivo: la struttura mentale
condivisa e potente, tipica della culture di massa, che si deposita nella memoria di
tutti gli individui appartenenti a una comunità, e ne orienta opinioni, convinzioni,
atteggiamenti e comportamenti quotidiani.
Il nostro mestiere è raccontare le offerte dei nostri clienti attraverso narrazioni
efficaci. Ironia, humour, paradosso, appartengono al patrimonio storico del miglior
linguaggio pubblicitario. Sono, fra i molti tratti distintivi della pubblicità, forse i
più popolari e apprezzati,
se e quando vengono impiegati con competenza, precisione e misura.
Per questo crediamo, come professionisti e come individui responsabili, di dover
assumere, condividere e promuovere un insieme di princìpi che servano da
positivo fattore di sensibilizzazione e orientamento etico
per chi, ogni giorno, crea e diffonde linguaggi e simboli. Ad animarci
non è un intento censorio, che non ci appartiene, ma il desiderio
di portare un contributo positivo alla crescita, non solo materiale ma anche
culturale, di questo paese.
In questo spirito sottoscriviamo otto semplici appelli che auspichiamo possano
essere raccolti e condivisi anche al di fuori dell’Art Directors Club Italiano. Non
solo dagli altri colleghi che si occupano – in vari modi
– di comunicazione, ma anche dagli enti e dalle imprese per cui lavoriamo e da
chiunque abbia l’opportunità, oltre che la responsabilità, di veicolare messaggi
attraverso i media.
In linea generale, i princìpi cui ci ispiriamo sono già tutelati da altri organismi e,
nei casi di infrazione più sospetti, dal codice civile.
È nostro intento contribuire, con questo appello, a modificare modalità
di comunicazione che, pur lecite formalmente, possono tuttavia favorire
il consolidarsi di stereotipi negativi e il deteriorarsi della cultura collettiva.
ONESTÀ
La fiducia è uno dei pilastri su cui si fonda ogni
società civile. Tradire la fiducia di altri esseri umani è
una forma di inquinamento morale
che rende tutti più vulnerabili. Per questo noi soci
Adci ci impegniamo a evitare espedienti retorici tesi a
creare aspettative che il prodotto
o il servizio pubblicizzato non sarà mai
in grado di soddisfare. Fuorviare il pubblico
a cui parliamo indebolisce il nostro stesso lavoro.
BELLEZZA
Noi soci Adci ci impegniamo a lottare ogni giorno
contro la trasandatezza, la sciatteria, la trascuratezza
e la volgarità, virus la cui diffusione va a discapito
della bellezza.
«Tutti noi che per mestiere usiamo i mass media
contribuiamo a forgiare la società. Possiamo renderla
più volgare. Più triviale. O aiutarla
a salire di un gradino». (Bill Bernbach).
APPROPRIATEZZA
Ogni volta che creiamo un messaggio noi soci Adci
ci interroghiamo sulla sua appropriatezza. I nostri
messaggi entrano nelle case e nelle vite altrui:
dobbiamo chiederci sempre se quello che a noi pare
appropriato lo sia anche per gli altri.
La vera creatività non risiede nella trasgressione
distruttiva e fine a se stessa, ma nel reinventare la
norma aprendole prospettive nuove e fertili.
RISPETTO
Noi soci Adci siamo consci che con i nostri messaggi
non dobbiamo mai offendere gli altrui diritti e
meriti. Nemmeno quando sono i committenti a
spingerci in questa direzione, perché accontentarli
significherebbe procurare un danno a tutto il sistema.
Se la pubblicità non rispetta gli esseri umani nella
loro individualità
e nella loro differenza, questi smetteranno
di rispettare la pubblicità. Sta già accadendo.
CORRETTEZZA
Noi soci ADCI ci rifiutiamo di favorire con
il nostro lavoro rappresentazioni gratuite
di violenza, in tutte le sue forme: fisica, verbale,
psicologica, simbolica, morale. Siamo contrari a
promuovere direttamente o indirettamente qualunque
tipo di discriminazione, in quanto
è essa stessa una forma di violenza.
STEREOTIPI
Una certa dose di stereotipi è necessaria in pubblicità
come in ogni forma di comunicazione di massa. Ma
l’abuso di stereotipi e cliché relativi a etnie, religioni,
classi sociali, ruoli
e generi favorisce il consolidamento di pregiudizi e
ingessa lo sviluppo sociale, ancorandolo a schemi
culturalmente arretrati e quindi dannosi. Dunque
occorre usare gli stereotipi con attenzione e
consapevolezza, sempre chiedendosi se una soluzione
alternativa non sia possibile – e migliore.
INTELLIGENZA
Il fatto che la pubblicità debba essere chiara, diretta
e comprensibile a tutti non implica che debba essere
stupida, né che si debba trattare da stupido il suo
pubblico.
Noi soci Adci condanniamo e combattiamo il ricorso
alla stupidità sia come espediente retorico, sia
come scorciatoia per guadagnare facili consensi.
Difenderne l’utilità a fini comunicativi è un alibi cinico
e mediocre, tipico di chi disprezza i suoi simili e di chi
è incapace
di produrre o riconoscere idee nuove.
Per ridurre ciò che è complesso a semplice, senza
essere semplicisti e conservandone tutta la ricchezza,
occorre – parola di Bertrand Russell – la dolorosa
necessità del pensiero.
PUDORE
Consideriamo la sessualità libera da condizionamenti
un grande valore, per
la donna e per l’uomo. Il nudo in sé non può recare
offesa, come l’arte stessa ci ha insegnato attraverso
innumerevoli esempi. Ma giudichiamo profondamente
scorretto ridurre i corpi umani
a oggetto sessuale da abbinare a un prodotto
in modo incongruo e pretestuoso, al solo scopo
di rendere quest’ultimo desiderabile.
Questo schema pavloviano è, oltre che inefficace nel
promuovere l’autonomo valore
del prodotto, immorale, perché svilisce l’esperienza e
l’identità umana.